Critics

 

Dal corpo al sacro. Dal sacro alla materia Umana
Di Loredana Finicelli


Marco Monaldi è un artista controcorrente, uno di quelli che si muove in controtendenza rispetto agli indirizzi attuali del contemporaneo, che ama sfidare le maree e i sistemi condivisi, i mezzi critici e gli strumenti attraverso i quali il fare artistico è solito oggi interpretare la realtà. Lo può fare Monaldi, perché è un artista che mostra un possesso cristallino degli strumenti della tradizione, domina il disegno come pochi sanno fare, ha una comprensione della spazialità quasi illimitata e con questi mezzi solidi confeziona un figurativo orgoglioso, di grande impatto emotivo, suggestivo e insieme coinvolgente. Una pittura, quella di Monaldi, dai tempi lenti e cadenzati, dai toni meditativi e asciutti, dalle atmosfere quasi sublimi; potrebbe dirsi prossima al sacro, se non fosse così attenta, invece, nella registrazione della natura umana, dei sui aspetti spiccatamente corporei e della sua fisicità più marcata: il corpo, nel lessico di questo artista, con i suoi rilievi anatomici lucidi e laccati ha la stessa rilevanza dei richiami alla trascendenza, ed è proprio in questo conflitto dissacrante tra umano e divino che si trova la chiave di accesso alla sua pittura.

Parte della produzione di Monaldi è dedicata al tema dell’angelo, se non fosse che si tratta di angeli troppo umani e troppo caduti per essere credibili come essenze spirituali, molto più vicini alla terra che non all’empireo celeste. Angeli molto uomini e uomini molto peccatori, che tuttavia meditano e riflettono sulla loro natura corrotta e corruttibile, su quella condizione che alla fine è propria di tutti gli esseri umani.

Sembra essere questa, la tesi sostenuta dall’opera di Monaldi, disegnatore eccellente, formatosi in quell’ officina di talenti che è l’Accademia di Belle Arti di Firenze; un artista capace di esprimersi attraverso tutti i mezzi della pittura, dal disegno all’olio, tecnica in cui raggiunge vere e proprie vette di bravura, evidentissima nella conoscenza anatomica accurata e nel dominio spaziale dei corpi, colti solitamente in scorci drammatici, al limite dell’innaturale. Non mancano tra le sue opere le incisioni, tecnica in cui il suo tratto nitido si ammanta di atmosfere vibranti e occulte, di echi di antico mistero.

La scelta del monocromo amplifica i tratti del suo disegno e gli aspetti segnici della sua tecnica: meno seducente del colore, questa scelta cromatica svela il ritmo interno del dipinto, come se fosse una successione di linee e volumi, favorisce l’emergere di un contrasto luministico algido e stringente, risolutivo ai fini della percezione totale dell’immagine e dei suoi contenuti.

La pittura di Monaldi ha nel tema radente degli uomini-angeli la sua linea guida, il fulcro della riflessione artistica, ma il suo lavoro non trascura generi meno intellettualistici, più accessibili a un pubblico meno avvertito e poco abituato alla monotonia della pittura monocroma, che amplifica il disegno, ma abbassa la percezione emotiva. Perché se in qualcosa la pittura di Monaldi difetta, è della tendenza alla semplificazione così diffusa nella nostra attualità, di quel livellamento verso il basso dell’esperienza percettiva che riduce tutto al facile e all’elementaristico, tanto è invece pretenziosa nel tendere all’inverosimile le possibilità intrinseche delle tecniche tradizionali. Pertanto, la sua curiosità di disegnatore e attento osservatore della natura, non disdegna i lavori a tema floreale, pezzi di grande virtuosismo ma certamente lontani dal realismo naturalistico di facile approccio. I fiori del Monaldi sono fatti della stessa sostanza degli angeli e, come quelli, vivono avvolti nella stessa atmosfera straniante, quasi tragica, scorciati in maniera audace, osservati nelle loro torsioni come se fossero corpi in tensione e non semplici steli di piante in fioritura. Esemplari di un virtuosismo senza tempo e senza storia, le opere floreali sono l’unico genere dove Monaldi introduce il colore, seppure freddo e risplendente: un artista dove la tradizione ritrova l’enfasi e la modernità acquista le forme della suggestione drammatica.



Oltre. Gli Uomini
Di Loredana Finicelli

Nell’esplorazione del labirinto creativo che ogni artista percorre nel corso della sua evoluzione personale, Marco Monaldi viene ripetutamente a contatto con presenze adamantine, esseri angelici a uno sguardo distratto, ma molto più che umani a una osservazione attenta.

Gli uomini-angeli di Monaldi sono la costante della sua ricerca. Sono lo specchio, sono la pietra di paragone, sono il modello di discrimine e di riferimento con il quale l’artista si misura fin dall’inizio della sua attività pittorica. E, come l’artista, dapprima giovane inesperto e poi uomo, anche gli angeli-presenze hanno conosciuto una maturazione progressiva. L’essere imperfetto, voglioso di assoluto e di universale, eppure tanto incline a sondare gli itinerari bui e inquietanti del proprio inconscio e, soprattutto, dei desideri inespressi dell’animo umano, sembra emanciparsi da quei lidi oscuri e trovare una nuova ascesa verso dimensioni più nitide. In queste opere, i profili degli uomini-angeli diventano, per quanto possibile in una pittura che tanto concede ai valori del disegno e del tratto, ancora più accurati, ancora più meticolosi. Ogni muscolo, ogni tendine, ogni componente anatomico viene delineato con la convinzione di chi sa e di chi conosce i segreti dei corpi, il disporsi delle masse, il controcanto dei pieni e dei vuoti, le mille alterazioni dell’epidermide. E la sapienza descrittiva si rende necessaria e funzionale alla realizzazione di queste pose plastiche e composte, nelle quali il fisico viene messo alla prova in posizioni innaturali e artefatte. Tutto è funzionale al virtuosismo dell’artista incantatore e mago che si diverte a mostrare la sua abilità compositiva, il dominio dei mezzi pittorici e a rammentarci che tutto questo è null’altro che simbolo, null’altro che metafora di quanto duro e accidentato sia il percorso che porta verso nuove albe. Perché di nuova alba, di rinnovata aurora si tratta, dal momento che il divino si manifesta, intangibile ma evidente, a questi esseri imperfetti tendenti all’infinito. C’è rivelazione del sacro in questi fluidi trasparenti che si sciolgono nelle tele fino a lambire i corpi di questi angeli incompiuti, lambiti con l’intento di incatenarli, di avvolgerli.

Il dialogo con l’essenza divina trova qui la sua realizzazione e come una magica epifania assume i connotati del colore a cui Monaldi con cautela e discrezione e anche troppa prudenza pare infine approdare. E il divino che redime, per un artista quasi monocromo, non può che avere la brillantezza del colore e la grana della luce. E il colore ritorna ancora, come l’unica nota vistosa, nei dipinti con i volti maschili. Volti di uomini in cerca…volti di uomini incamminati…volti…da cui lo sguardo si stacca di netto e come uno schiaffo colpisce chi guarda. “Hai provato? Hai tentato?” soprattutto “hai cercato…uomo?”, sembrano osare questi occhi interrogativi e penetranti, dipinti con la perizia del miniatore e l’arguzia dell’osservatore scaltro.

Angeli o no, gli uomini-oltre dell’artista marchigiano, essenze troppo umane e dolorosamente perfettibili, completano in queste opere il loro processo di evoluzione, approdano alla loro ultima metamorfosi. Un incontro avvenuto con lo spirito che tutto emenda e tutto risolve. E tutto, finalmente, chiude.

 


Silentium 
Di Raul Cordula

SILENTIUM

Ariel é o 54º Anjo dos 72 que integram a Escada de Jacó. Segundo a tradição
cabalística cristã ele conduz aqueles a quem proteje à união dos sentimentos
com a razão para que possam conhecer os mistérios do Mundo Celeste. Ele os
pede para iluminar com sua luz própria, e com seu fogo, o caminho que os
levará a um novo mundo de paz e felicidade.
Marco Monaldi pinta este Anjo envolto em chamas brancas evocando o silêncio
em sua pintura sem cor, ou melhor, cuja cor é a síntese das luzes – o branco –
e da matéria – o preto. Silentium, porém, é a condição do peregrino na sua
busca do eterno, é a vitória da beleza sobre o inócuo, é a porta de entrada para
a alma.
Marco é um pintor italiano graduado com honras em pintura pela Academia de
Belas Artes de Florençacom uma tese intitulada “O Anjo Moderno”. Pela busca
de perfeição sua pintura pode confundida com o hiper-realismo muito em voga
nos anos de 1970, mas sua arte nada tem de realista, ela é transcendental.
Há alguns meses ele vive e trabalha em Olinda integrando o grupo empresarial
que nos brinda com esta nova casa, pouso de várias artes como a
gastronomia, a musica, as artes visuais e outras que estão por vir.

Olinda, maio de 2015
Raul Córdula

 

De Humana Natura 
Di Serafino Caggiano

L'uomo quando parla

può venire osservato nel movimento delle membra

e ascoltato nel suo discorso:

ma come si può penetrare il suo pensiero

e come si può riuscire a giungere al suo cuore?

 

Le Confessioni, S.Agostino

 

 

 

L’arte e la ricerca pittorico-figurativa di Marco Monaldi sembra dibattersi su uno degli oggetti che il filosofo Kant aveva inserito tra ciò che deve essere considerato “noumeno”, ossia ciò di cui non si può avere un’effettiva conoscenza: l’anima non puo conoscere la sua identità ma può solo farne esperienza.

La ricerca di un’anima che medita visivamente, si scruta, cade, si abbandona, si rialza, si dibatte nell’intimo della sua coscienza fissando momenti esistenziali che vengono alla luce come epifanie, squarci in cui alla coscienza appare la tensione di un “Se” che si rivolge all’Assoluto e la consapevolezza di una gravità che lo trascina altrove.

In uno dei cicli pittorici la figura umana plasticamente espressa con il corpo e il volto parzialmente, o del tutto, celato allo spettatore, è fornito di una conturbante maschera che sembra alludere allo strumento di supporto utile ai ruoli sociali, che si indossano per cercare di tenere insieme una coscienza frammentata in cui unica testimone unificante e profonda è la luce intima e solitaria della coscienza.

Figure angeliche decadute nell’al di qua, dall’Eterno, dotate di una vena velata di erotismo si mostrano umane, muovendo nell’indistinto processo di caduta, risveglio, accoglienza, si sforzano di recuperare grazie alla luce una Via, una dimensione trascendente.

L’elemento naturale rappresentato nel ciclo pittorico dei fiori è astratto dal reale e gettato come i corpi in una realtà “altra”, indistinta, una rappresentazione di un cromatismo illuminato e brillante forse una metafora spirituale dell’anima come elemento di una bellezza precaria e fragile.

La ricerca che l’artista rappresenta sembra mostrare un elemento di condivisione: lo sforzo comune ad ogni uomo che si pone in una ricerca introspettiva e spirituale religiosa di un’identità mai pienamente definita tesa fra cielo e terra.

Monaldi e la Realtà
Di Paolo Mario Galassi

 La biennale di Venezia 2009 – attualmente in corso - segna una svolta nella storia gloriosa di questa esposizione internazionale.

    E’ il primo anno che si notano sintomi – pallidi-di una riflessione (parlare di ripensamento è ancora prematuro) sulle espressioni artistiche degli anni passati.

    Sulla loro validità. Sul loro valore. Sul loro linguaggio. Sulla loro comunicatività.

    Non è dato sapere se questa strada imboccata timidamente porti a risultati clamorosi .Si dovrà seguire con molta attenzione le prossime biennali e solo dopo si potrà misurare la temperatura dell’arte contemporanea mondiale.

    In particolare il padiglione italiano è quello dove si è concentrata maggiormente l’attenzione del visitatore, forse proprio perché pioniere di questa nuova stagione artistica, pur celebrando l’anniversario di un movimento passato:il Futurismo.

    Questa lunga riflessione era doverosa e necessaria e fondamentale per inquadrare il lavoro di Marco Monaldi.

    Pittore dell’ascolano interpreta l’arte come espressione del reale ma non come momento fotografico – forma d’arte indiscussa – ma come realtà entro la quale l’uomo è: è vero uomo, è vera realtà in altre parole è se stesso nella sua spiritualità entro la sua materialità.

    La forma pura, quella che la natura ci ha donato, espressione del divino per il

Credente, non necessita di orpelli che la caricherebbero di inutilità.

    Deve essere solo ammirata perché ritorni all’osservatore per arricchirlo nel suo spirito. Si potrebbe dire che la stessa purezza formale sia il collante che unisce tutta la realtà, intesa come pura natura.

    Le tele di Marco Monaldi posseggono la forza tipica di colui che prende dalla natura la vera essenza e la trasmette – con un procedimento osmotico – al fruitore.

    La stessa grandezza delle tele invita l’osservatore ad essere compartecipe della realtà, come frammento fondamentale di un tutto armonioso.Ad entrare entro quella realtà che il pittore ci mostra nella sua essenza.

    Ed in questo contesto anche le figure –perfette nella tecnica e nell’ordito coloristico- sganciate da vincoli umani, si liberano in un universo ormai privo di vincoli. Lo stesso angelo, con le sue ali bianche di purezza, unisce il divino all’umano in una unica figura a significare che quando l’uomo è o sarà libero, si avvicinerà alla realtà. Quella vera, quella da cui è partito.

    Ecco allora che la realtà diventa non realtà in quanto ha raggiunto la purezza.

    Su questa strada Marco Monaldi è pronto per una biennale veneziana.

Realtà o non Realtà
Di Loredana Finicelli

Testo Critico Realtà o non Realtà
Novae vanitates

Come moderne vanitates i soggetti delle opere di Marco Monaldi risplendono per la loro bellezza apparentemente
autentica e levigata, per le loro virtù situate a metà strada tra il vero e il verosimigliante.
Uomini-uomini, uomini-angeli e painte-fiori, oppure storia, ultrastoria e natura, compongono il ristretto ma efficace
spettro di temi di questo artista, sospeso tra azioni umane e divine, tra il cielo e la terra, tra loro, equidistanti.
Tanto i frammenti rubati dal mondo vegetale quanto le atletiche fisionomie umane e oltre, condividono la stessa,
cristallina, cifra stilistica: abile cesellatore di forme e di volumi, via via sempre più fluidi e naturalistici, il
Monaldi gioca con la forma modellata da un chiaroscuro abile, dosa senza circospezione, un contrasto luministico
violento e sapiente. I corpi emergono dal primo piano messi in risalto da luci bianche e radenti, imponendosi con i loro
valori formali compatti, con le loro masse sintetiche, idee perfette di corpi e di altro, prima che uomini e angeli
veri.
Allo stesso modo, le nature morte dell’artista marchigiano appartengono anch’esse al mondo dei concetti astratti più che
a quello della natura reale: si tratta di archetipi compiuti, di modelli della memoria remota sedimentati nella
coscienza secolare, anche loro, di fatto, appartengono al regno dei corpi in vita, né più né meno come gli uomini,
angeli a volte, a volte meno, degli altri dipinti.
Le opere dell’artista sono singolari rappresentazioni in serie: come uno studioso ossessivo impegnato in una complessa
ars combinatoria il Monaldi assembla differenti versioni degli stessi soggetti, mutandone le posture – ora di fianco, di
spalle, poi dal basso dall’alto -, quasi che in ogni inedito sguardo, in ogni inconsiderato profilo, via sia un segreto
da rintracciare, un non detto da rivelare, un dettaglio da restituire, una piega dell’abito da drappeggiare.
E, gli abiti del Monaldi, non costituiscono scelte sprovvedute e casuali. Non sono innocui tailleur da giorno o
impegnati abiti da sera. Sono vesti di pelle per chi ne sostiene la materia intrinseca, per chi, con il loro carico di
ignoto e potenza, si alimenta del loro lucido riflesso, sono vesti che, al pari delle maschere di alcuni dipinti,
alludono al vero non effettivo, all’autentico non originale, a certi viali underground dove gli uomini e le donne
perdono, per un breve, solo un breve intenso momento, la loro identità imperfetta, e vivono di sogni infinitesimali e di
emozioni in bilico.
Forse è la ricerca di un spirituale oramai definitivamente allontanato quello che questi uomini e altro vanno esplorando
nei sobborghi cromatici dei dipinti, dove a dominare sono le tinte estreme del non reale -perché non presenti in natura-
, come il nero e il bianco, tinteggiati da verdi accattivanti e fiammeggianti – non solo a parole – rossi.
Rosso. Come gli abiti di lana dei guerrieri di Sparta. Come le vesti listate di porpora dei Cesari. Come gli umori
vibranti della vita. Verde. Il verde confuso e pasticciato della speranza, arranca negli sfondi della prima serie di
angeli umani e domina nelle successione delle nature morte, spezzando la trama univoca del bianco – che tutto riunisce –
del nero – che tutto cancella. Bianco e nero come l’ossessione di un matematico pitagorico a cui l’articolazione
cromatica produce l’ansia della suggestione e spalanca il torrente dei sensi.
In queste rappresentazioni teatrali perfette a cui rimandano le quinte panneggiate di alcuni dipinti e le maschere
inquietanti di altri, Monaldi mette in scena, nascondendolo agli spettatori, il tema della vanitas postmoderna,
ammonimento salvifico di antica memoria che spesso adombrato nel bello fuori misura o nell’incorrotto troppo patinato.
Formula etica ereditata dal controverso Barocco, quando nature morte ai margini dell’iperreale alludevano alla caducità
della vita, alla bellezza corruttibile, all’inesorabile trascorrere dell’onda del tempo, così Marco Monaldi si
appropropria di questo avvertimento, celando al di sotto delle sue immagine attraenti, anch’esse a volte spinte ai
limiti dell’artefatto. Ma, a differenza dei dipinti secenteschi, dove gli avvertimenti erano affidati a dettagli a volte

intuibili, ad allegorie solitamente interpretabili dai più smaliziati, in questi dipinti, dove non sono in gioco il
paradiso e l’inferno, la salvezza perpetua e la dannazione eterna, l’allusione del Monaldi si fa più sottile e ambigua
e, al tempo stesso poiché scarsamente intellegibile assai più preoccupante.
In gioco, stavolta, non è la colpa o il peccato, ma la consapevolezza umana dell’età adulta e la sua relazione con la
sfera spirituale, l’emancipazione da un umano troppo risolutamente umano che dimentica il divino eppure nonostante tutto
vi tende, generando una sollecitazione sotterranea che dall’uomo tende all’angelo e troppo spesso ritorna.
Una natura troppo avventurosamente umana stretta tra esigenza e pretesa di assoluto e soddisfazione terrena mai paga.

 

Fuori dal Buio 
Di Gianluca Marziani

Galleria Fanelli by Artsinergy
Ottobre2008

La pittura sceglie due strade parallele che si incrociano in maniera
elegante e sottile: da un lato il ritratto, dall’altro la natura floreale,
idealmente accostate sul filo di un gender ambiguo in cui la sessualità
prende il cuore nascosto dell’immagine. I giovani maschi ritratti hanno ali
d’angelo, corpi atletici, posture introspettive. Nei loro gesti somigliano
ai fiori dai lunghi gambi, si afflosciano o riemergono dal loro torpore,
muovono il busto e le braccia come orchidee o tulipani. Corpi e fiori
scivolano in una sottile simbiosi pittorica dove uomo e natura ritrovano la
forma del desiderio. La pittura diventa silenziosa e notturna, una sorta di
quinta nel buio da cui emergono forme solitarie e catalizzanti.